Intervista di
Giulia Palpon, Camilla Rigato, Maurizio Simoni e Martina Todarello
Per iniziare, raccontaci un po’ delle tue origini dal punto di vista familiare e culturale.
“Mi chiamo Jamil Hossain, ho 42 anni e vengo dal Bangladesh. Abito qui ad Albiate con mia moglie e le mie due figlie, Tabassum e Tahera.”
Per quale motivo hai deciso di lasciare il Bangladesh e di venire qua in Italia?
“Ho deciso di lasciare la mia terra e venire in Italia per trovare un lavoro stabile, che mi desse un’autonomia economica maggiore rispetto a quella che mi offriva il Bangladesh.”
Perché proprio l’Italia e non altri paesi in Europa?
“Sarei potuto andare in Germania, come in Francia, per lavoro. Ma ormai sono in Italia da undici anni e in Europa le lingue nei diversi paesi cambiano molto. In Italia sto molto bene perché qui c’è ospitalità, ci sono figure come i carabinieri, la polizia locale, i tribunali, le leggi e c’è sempre qualcuno pronto ad aiutare, come quando sono arrivato. In altri paesi sarebbe stato difficile anche trovare un lavoro, qui invece sto bene e sono tranquillo.”
Durante i primi anni in Italia è stato difficile confrontarsi con persone di cultura differente?
“La mia famiglia è di religione musulmana ma non abbiamo mai riscontrato problemi in Italia a causa di questo. Migrare dal Bangladesh all’Italia per me è stato tranquillo e semplice, ma con l’entrata in vigore di determinate leggi adesso la situazione è molto più complessa.”
Hai mai trovato qualcuno che avesse pregiudizi nei tuoi confronti o che magari ti abbia fatto sentire diverso a causa del tuo essere un immigrato?”
“In tutto il mondo, non solo in Italia, succede che, parlando con dieci persone, una di queste abbia pregiudizi nei confronti di un immigrato. A me fortunatamente non sono mai capitati episodi particolarmente eclatanti se non qualche sguardo o qualche commento sotto voce.”
C’è invece qualcuno che ti ha aiutato in questa tua integrazione in Italia, un punto di riferimento?
“Quando sono arrivato in Italia la prima cosa da fare era mandare un documento in questura. Io non parlavo l’italiano, non lo conoscevo. Ho portato il documento in posta a Limbiate e quando mi è stato chiesto dove dovessi mandarlo ho risposto solo con tre parole: ‘Documento. Milano. Questura.’ Non potevo aspettare a mandare quel documento e nonostante non parlassi italiano ho trovato delle persone molto gentili che mi hanno subito aiutato.”
Come si è svolto il tuo processo di integrazione in Italia e quali sono le tue considerazioni al riguardo?
“Sono arrivato in Italia nel 2008, sono qui da 11 anni. Sei mesi dopo essere arrivato in Italia, ho iniziato a cercare lavoro e ne ho trovato uno. Cinque anni dopo, la mia famiglia ha fatto richiesta di trasferimento, mi hanno raggiunto e la maggiore delle mie figlie, Tabassum, ha iniziato a frequentare la scuola italiana. Abito ad Albiate da nove anni e la minore delle mie due figlie, Tahera, è nata a Carate. Io rispetto l’Italia, le sue leggi, gli italiani. L’Italia mi piace molto. Il mio paese, il Bangladesh, come l’India, il Pakistan, lo Sri Lanka… è un paese povero. Lì, come in Cina, ci sono tante persone, è molto popolato ed è molto difficile trovare un lavoro che ti dia da mangiare. Per questo motivo sono venuto qui, sto bene e ringrazio l’Italia per aver trovato un lavoro stabile.”
Di cosa ti occupi?
“Lavoro in un’azienda di plastica a Carate. Faccio un lavoro modesto ma onesto.”
Hai conservato qualche tradizione del tuo paese d’origine? Nutri il desiderio di ritornare in Bangladesh, magari anche solo per un viaggio, oppure col Bangladesh non vuoi più avere niente a che fare?
“Del Bangladesh ho portato con me la mia religione e indumenti tipici della mia cultura. Noi bengalesi, nonostante vari spostamenti, rimaniamo sempre molto legati al nostro paese d’origine e alle nostre rispettive tradizioni. Sicuramente mi piacerebbe molto tornarci, magari in un viaggio. Essendo ancora molto unito alla mia terra cerco sempre di cogliere le opportunità per tornarci, ma a causa del lavoro quest’ anno non mi sarà possibile. Ci torneranno solo mia moglie e le mie figlie quest’estate.”
C’è ancora qualcuno della tua famiglia in Bangladesh? Se si, da quanto tempo non li vedi?”
“Si, ho lasciato i miei tre fratelli e le mie sei sorelle. Purtroppo mio padre è morto tanti anni fa, nel 1980, e mia madre nel 1990. Adesso il maggiore dei miei fratelli e la maggiore delle mie sorelle sono come una mamma e un papà per me. Non so se in Italia succeda la stessa cosa, ma da noi è normale. Non ci sono solo mamma e papà, ci sono anche i fratelli e le sorelle che prendono il loro posto. Li ho visti l’ultima volta cinque anni fa, nel 2013, e due anni prima. Purtroppo non li vedo ogni anno, perché il viaggio comporta delle spese, in famiglia sono il solo a lavorare e mia figlia va a scuola.”
I tuoi fratelli vorrebbero intraprendere una migrazione analoga alla tua?
“No, sono impossibilitati perché, soprattutto adesso, ottenere il visto e i documenti adatti a vivere qui non è facile.”
Adesso che sei in Italia sei un uomo felice? O pensi a ulteriori spostamenti?
“Credo che spostandomi in un altro paese dovrei utilizzare almeno tre anni per trovare un lavoro, imparare la lingua e le usanze e conoscere il posto. Preferisco passare tre anni qui, andare avanti e imparare meglio la lingua, migliorare. Cambiare è difficile.”
Ti consideri italiano, bengalese o entrambe le cose?
“Io sono nato in Bangladesh e penso molto al mio paese. Sono in Italia da più di dieci anni, ho la residenza qua e un lavoro stabile. Nonostante il passato in Bangladesh, che non rinnego, il mio presente ed il mio futuro sono in Italia. ”
Stai seguendo l’attualità? Cosa ne pensi delle politiche sull'immigrazione dell'ultimo governo?
“Il governo dice ‘pensiamo prima all’Italia’ e va bene così. Io lo rispetto ma non lo condivido. Mi sento sicuramente molto fortunato ad essere arrivato in Italia quando ancora questi problemi non c’erano. I miei fratelli, infatti, che sono rimasti in Bangladesh, ora avrebbero molti più problemi ad entrare in Italia.”
Che valutazione numerica daresti da uno a dieci all’Italia e perché?
“Darei sicuramente dieci. Come lavoro, come aiuto, come istituzioni, ad esempio la questura, e come ospitalità darei dieci. Io non parlo molto bene l’italiano e soprattutto nei primi tempi, quando riuscivo a dire solo due parole, mi hanno aiutato molto.”
Qual è la cosa che apprezzi di più dell’Italia?
“Dell’Italia apprezzo particolarmente la Caritas, organizzazione che garantisce aiuto ai più bisognosi e che aiuta frequentemente il mio paese.”
Se dovessi descrivere l’Italia, quali aggettivi useresti?
“Generosa, ammirevole, pulita.”
“Mi chiamo Jamil Hossain, ho 42 anni e vengo dal Bangladesh. Abito qui ad Albiate con mia moglie e le mie due figlie, Tabassum e Tahera.”
Per quale motivo hai deciso di lasciare il Bangladesh e di venire qua in Italia?
“Ho deciso di lasciare la mia terra e venire in Italia per trovare un lavoro stabile, che mi desse un’autonomia economica maggiore rispetto a quella che mi offriva il Bangladesh.”
Perché proprio l’Italia e non altri paesi in Europa?
“Sarei potuto andare in Germania, come in Francia, per lavoro. Ma ormai sono in Italia da undici anni e in Europa le lingue nei diversi paesi cambiano molto. In Italia sto molto bene perché qui c’è ospitalità, ci sono figure come i carabinieri, la polizia locale, i tribunali, le leggi e c’è sempre qualcuno pronto ad aiutare, come quando sono arrivato. In altri paesi sarebbe stato difficile anche trovare un lavoro, qui invece sto bene e sono tranquillo.”
Durante i primi anni in Italia è stato difficile confrontarsi con persone di cultura differente?
“La mia famiglia è di religione musulmana ma non abbiamo mai riscontrato problemi in Italia a causa di questo. Migrare dal Bangladesh all’Italia per me è stato tranquillo e semplice, ma con l’entrata in vigore di determinate leggi adesso la situazione è molto più complessa.”
Hai mai trovato qualcuno che avesse pregiudizi nei tuoi confronti o che magari ti abbia fatto sentire diverso a causa del tuo essere un immigrato?”
“In tutto il mondo, non solo in Italia, succede che, parlando con dieci persone, una di queste abbia pregiudizi nei confronti di un immigrato. A me fortunatamente non sono mai capitati episodi particolarmente eclatanti se non qualche sguardo o qualche commento sotto voce.”
C’è invece qualcuno che ti ha aiutato in questa tua integrazione in Italia, un punto di riferimento?
“Quando sono arrivato in Italia la prima cosa da fare era mandare un documento in questura. Io non parlavo l’italiano, non lo conoscevo. Ho portato il documento in posta a Limbiate e quando mi è stato chiesto dove dovessi mandarlo ho risposto solo con tre parole: ‘Documento. Milano. Questura.’ Non potevo aspettare a mandare quel documento e nonostante non parlassi italiano ho trovato delle persone molto gentili che mi hanno subito aiutato.”
Come si è svolto il tuo processo di integrazione in Italia e quali sono le tue considerazioni al riguardo?
“Sono arrivato in Italia nel 2008, sono qui da 11 anni. Sei mesi dopo essere arrivato in Italia, ho iniziato a cercare lavoro e ne ho trovato uno. Cinque anni dopo, la mia famiglia ha fatto richiesta di trasferimento, mi hanno raggiunto e la maggiore delle mie figlie, Tabassum, ha iniziato a frequentare la scuola italiana. Abito ad Albiate da nove anni e la minore delle mie due figlie, Tahera, è nata a Carate. Io rispetto l’Italia, le sue leggi, gli italiani. L’Italia mi piace molto. Il mio paese, il Bangladesh, come l’India, il Pakistan, lo Sri Lanka… è un paese povero. Lì, come in Cina, ci sono tante persone, è molto popolato ed è molto difficile trovare un lavoro che ti dia da mangiare. Per questo motivo sono venuto qui, sto bene e ringrazio l’Italia per aver trovato un lavoro stabile.”
Di cosa ti occupi?
“Lavoro in un’azienda di plastica a Carate. Faccio un lavoro modesto ma onesto.”
Hai conservato qualche tradizione del tuo paese d’origine? Nutri il desiderio di ritornare in Bangladesh, magari anche solo per un viaggio, oppure col Bangladesh non vuoi più avere niente a che fare?
“Del Bangladesh ho portato con me la mia religione e indumenti tipici della mia cultura. Noi bengalesi, nonostante vari spostamenti, rimaniamo sempre molto legati al nostro paese d’origine e alle nostre rispettive tradizioni. Sicuramente mi piacerebbe molto tornarci, magari in un viaggio. Essendo ancora molto unito alla mia terra cerco sempre di cogliere le opportunità per tornarci, ma a causa del lavoro quest’ anno non mi sarà possibile. Ci torneranno solo mia moglie e le mie figlie quest’estate.”
C’è ancora qualcuno della tua famiglia in Bangladesh? Se si, da quanto tempo non li vedi?”
“Si, ho lasciato i miei tre fratelli e le mie sei sorelle. Purtroppo mio padre è morto tanti anni fa, nel 1980, e mia madre nel 1990. Adesso il maggiore dei miei fratelli e la maggiore delle mie sorelle sono come una mamma e un papà per me. Non so se in Italia succeda la stessa cosa, ma da noi è normale. Non ci sono solo mamma e papà, ci sono anche i fratelli e le sorelle che prendono il loro posto. Li ho visti l’ultima volta cinque anni fa, nel 2013, e due anni prima. Purtroppo non li vedo ogni anno, perché il viaggio comporta delle spese, in famiglia sono il solo a lavorare e mia figlia va a scuola.”
I tuoi fratelli vorrebbero intraprendere una migrazione analoga alla tua?
“No, sono impossibilitati perché, soprattutto adesso, ottenere il visto e i documenti adatti a vivere qui non è facile.”
Adesso che sei in Italia sei un uomo felice? O pensi a ulteriori spostamenti?
“Credo che spostandomi in un altro paese dovrei utilizzare almeno tre anni per trovare un lavoro, imparare la lingua e le usanze e conoscere il posto. Preferisco passare tre anni qui, andare avanti e imparare meglio la lingua, migliorare. Cambiare è difficile.”
Ti consideri italiano, bengalese o entrambe le cose?
“Io sono nato in Bangladesh e penso molto al mio paese. Sono in Italia da più di dieci anni, ho la residenza qua e un lavoro stabile. Nonostante il passato in Bangladesh, che non rinnego, il mio presente ed il mio futuro sono in Italia. ”
Stai seguendo l’attualità? Cosa ne pensi delle politiche sull'immigrazione dell'ultimo governo?
“Il governo dice ‘pensiamo prima all’Italia’ e va bene così. Io lo rispetto ma non lo condivido. Mi sento sicuramente molto fortunato ad essere arrivato in Italia quando ancora questi problemi non c’erano. I miei fratelli, infatti, che sono rimasti in Bangladesh, ora avrebbero molti più problemi ad entrare in Italia.”
Che valutazione numerica daresti da uno a dieci all’Italia e perché?
“Darei sicuramente dieci. Come lavoro, come aiuto, come istituzioni, ad esempio la questura, e come ospitalità darei dieci. Io non parlo molto bene l’italiano e soprattutto nei primi tempi, quando riuscivo a dire solo due parole, mi hanno aiutato molto.”
Qual è la cosa che apprezzi di più dell’Italia?
“Dell’Italia apprezzo particolarmente la Caritas, organizzazione che garantisce aiuto ai più bisognosi e che aiuta frequentemente il mio paese.”
Se dovessi descrivere l’Italia, quali aggettivi useresti?
“Generosa, ammirevole, pulita.”